HOME | EMAIL | BIO | NEWS |
facebook: fabrizio dusi | instagram: fabriziodusiartist |
BABELE LUMSA ART FACTORY PALERMO
Installazione site specific a cura di Valentina Bruschi e Giovanni Gardini LINK : LUMSA | PALERMO TODAY | ANSA | ARTUU |
![]()
Presentazione di Giovanni Gardini
Un caro saluto a tutte e a tutti. Con grande piacere sono qui a Palermo, una città nella quale si torna sempre volentieri e a maggior ragione per progetti artistici come questo che andiamo ad inaugurare oggi.
Ringrazio le autorità presenti ed in particolare il professor Giampaolo Frezza, Prorettore vicario Lumsa. Lo ringrazio dell’invito e per l’opportunità che mi ha dato. Ringrazio anche Giulia Anselmo per il lavoro di coordinamento e soprattutto l’artista Fabrizio Dusi che mi ha chiesto di scrivere un testo di presentazione del suo lavoro.
|
![]() Per commentare brevemente l’opera di Fabrizio Dusi partirei dal titolo. Babele. Il titolo che l’artista ha scelto per questa mostra, Babele, ci riporta al capitolo 11 di Genesi, un testo veterotestamentario che parla di un atto di superbia da parte dell’uomo, ovvero il desiderio di costruire una città e una torre «la cui cima tocchi il cielo», dice il testo, una torre che sia sfida al cielo, la dimora di Dio. Un gesto di superbia, si potrebbe dire, pari a quello dei progenitori, che sfidarono Dio nel voler giudicare cosa è bene e cosa non lo è, sostituendosi a Dio, il solo che custodisce nel profondo la conoscenza del bene e del male. Babele, secondo l’interpretazione corrente, è caos delle lingue, confusione, incapacità di parlare un’unica lingua, disordine causato dal desiderio sfrenato di onnipotenza degli uomini. All’interno del libro di Genesi altri sono i gesti di superbia dell’uomo. Basti pensare a quello che succede pochi capitoli prima, esattamente al capitolo 3, con Adamo ed Eva che, con il loro gesto di voler possedere la conoscenza del bene e del male, hanno pensato di potersi sostituire a Dio. |
![]() Se il nutrirsi del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male ha costretto i progenitori a uscire dall’Eden, dal giardino del paradiso, da quel contesto privilegiato in cui l’uomo e la donna conversavano con Dio nel sollievo e nella dolcezza della brezza del giorno (così dice il testo al capitolo 3 versetto 8), Babele porta con sé l’uscire dalla città, l’abbandonare la città che gli uomini volevano costruire. Babele manifesta, in un certo senso, la stessa dispersione a cui erano stati costretti i progenitori, Adamo ed Eva. Una dispersione che, in entrambi i casi, ha a che fare con la potenza della parola. Adamo ed Eva, uscendo dal giardino edenico - così leggiamo in Genesi al capitolo 3 - interrompono il loro dialogo con il Creatore, mentre con la costruzione della torre di Babele gli uomini interrompono il loro dialogo tra loro. Questi due brani biblici presentano, si potrebbe dire, un’incapacità totale di relazione, sia in verticale sia in orizzontale: in verticale, cioè con Dio – di questo parla il passo di Adamo ed Eva, dove già emerge la difficoltà relazionale tra l’uomo e la donna e dove si innesca il tema della violenza, basti pensare a Caino e Abele -; in orizzontale, cioè degli uomini tra di loro, come riporta il brano di Babele al capitolo 11 di Genesi. Guardando al lavoro di Fabrizio Dusi ci si accorge che queste due narrazioni bibliche così intese e a tratti drammatiche emergono entrambe all’interno della sua ricerca artistica. Più volte, infatti, egli ha raffigurato Adamo ed Eva, o meglio, «Eva e Adamo», perché nella sua visione è l’uomo che porge la mela alla donna e non il contrario, come invece riportano i testi biblici. E poi Babele, le grandi torri dorate esposte qui a Palermo - sia alla LUMSA sia alla GAM -, torri affollate e brulicanti di un’umanità sola, incapace di relazione. Dusi, in tutta la sua ricerca artistica, è affascinato da questo tema del dialogo, o meglio, dalla sua negazione tanto da farlo diventare quasi una cifra stilistica di tutto il suo lavoro. |
![]() In queste torri di Babele che Dusi ci propone - non una torre, ma molteplici torri - si manifesta tutta la solitudine dell’umanità, il suo dolore intenso e sordo. All’interno di queste torri - ciascuna di esse è una nuova Babele - si affolla un’umanità affaticata, incapace di dialogo. Incapace di dialogo nonostante la vicinanza e a dispetto della prossimità a cui le figure sono costrette. Nonostante la presenza del cellulare che, troppo spesso, diventa strumento di divisione e di solitudine. Qui il cellulare rappresenta la volontà, da parte dell’artista, di aggiungere un’ulteriore forma di incomunicabilità. Servirebbe per comunicare, ma al contrario allontana dalla realtà e da chi ci è prossimo. Questi che vi sto raccontando - la solitudine nella folla, la richiesta struggente di essere ascoltati, il desiderio di essere ascoltati, la difficoltà a comunicare - sono temi cari alla poetica dell’artista. Pensiamo ai bla bla bla che Dusi da tempo realizza in ceramica o con il neon, supporti fragilissimi, come fragilissima, se ci pensate è la parola. Basta un niente che si sgretola. Basta un niente e la relazione degli uomini tra loro si frantuma. Le figure di Dusi sono quasi sempre in una situazione di folla. Oppure di coppia. Abbiamo anche le figure singole, certamente, ma verrebbe da dire con meno frequenza. Abbiamo la folla, innanzitutto. Una folla fatta di individui. In teoria, in mezzo a tante persone si avrebbe una maggior possibilità di ascoltare o di farsi ascoltare ma, invece, sono proprio queste le situazioni di maggiore incomunicabilità, di maggiore isolamento. Ognuno ha una sua isola, ognuno sta nella sua situazione, ognuno si crea il suo mondo, non c’è un interscambio. |
![]() Le sue figure, uomini e donne senza età, potremmo dire senza volto nel senso che chiunque lì vi si può riconoscere, manifestano un grido altissimo: le loro bocche sono spalancate, i loro volti talvolta sono uno di fronte all’altro, ma il dialogo non si instaura mai. Le bocche sempre aperte indicano una tensione verso la parola, ma sono anche dei gridi silenziosi. La bocca che è un grido silenzioso. Quel grido che queste figure lanciano, inoltre, rimane inascoltato, perché i personaggi che Dusi mette in scena nel teatro del mondo non hanno le orecchie. Appositamente. Quasi a denunciare questa nostra umanità che nega al prossimo la possibilità di essere ascoltata. Fabrizio Dusi, in questo, propone una visione quanto mai drammatica della storia. E dato che questo grido non viene ascoltato - non può essere ascoltato, non ci sono le orecchie, come, se ci fate caso, le figure mai si guardano, i loro occhi mai si incrociano - l’artista, come mosso a compassione verso questa umanità sorda, inserisce la parola «ascoltami» sulle magliette, una parola che viene scritta in varie lingue: arabo, ebraico, cinese, correano, pungjabi, spagnolo, francese, tedesco. |
![]() La scritta «ascoltami» vorrebbe ribaltare questa situazione di incomunicabilità. Per iniziare a parlarsi, pare dire l’artista, basta una parola - ascoltami - basta iniziare ad ascoltarsi. Basterebbe iniziare a guardarsi. In questo Dusi propone una soluzione e capiamo che la sua visione non è allora del tutto catastrofica perché chiama una soluzione. Già lo avete capito. Dusi parla di noi. La sua arte pone una domanda agli uomini e alle donne del nostro tempo. La sua arte è un invito alla prossimità, al dialogo. All’incontro. Per questo penso che sia importante che le sue opere, come succede oggi alla Lumpsa, siano esposte in un contesto pubblico, di formazione, affinché diventino anche un invito per le nuove generazioni a costruire una società migliore, fraterna, libera. |
![]() |
![]() |